La porta dell’infinito - Gv 10,1-10 |
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+ Dal Vangelo secondo Giovanni |
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chi non entra nel recinto delle pecore |
L’immagine del recinto richiama un cortile circondato da un muretto di pietre dove raccogliere le pecore, la parola greca usata è “aulè” utilizzata anche per indicare il cortile del tempio di Gerusalemme. Dunque, questo testo è fortemente connotato dalla polemica nei confronti di chi ha la pretesa di guidare il popolo di Israele ma non passa per la porta. È un male che attraversa la storia e giunge ai nostri giorni: “E nella Chiesa ci sono arrampicatori! Ci sono tanti, che usano la Chiesa per … Ma se ti piace, vai a Nord e fai l’alpinismo: è più sano! Ma non venire in Chiesa ad arrampicarti! E Gesù rimprovera questi arrampicatori che cercano il potere” (Papa Francesco 5 maggio 2014). |
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le conduce fuori |
L’immagine della parabola è quella della familiarità del pastore con le pecore che chiama per nome. Il nome non è un elemento meramente identificativo; nell’esperienza semitica è piuttosto l’essenza stessa della persona, la sua missione. Dare il nome o conoscere il nome indica familiarità, conoscenza intima. Il Pastore è dunque colui che conosce nel profondo le sue pecore e soprattutto ne conosce il senso della vita, la missione ed è per questo che le conduce fuori. “Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo” (EG 20). Lontana dal Signore l’idea di una Chiesa rinchiusa in se stessa in una sorta di auto contemplazione. A quanto pare compito del pastore non è trattenere, ma spingere fuori, oltre il recinto, oltre il tempio, il culto per entrare nel tessuto stesso della storia, dove la vita sfida la fede. Una fede coccolata nel caldo e sicuro ovile non ha senso; a volte fa sorridere chi si definisce credente e non praticante, come se la fede si esaurisse nella pratica cultuale. La fede si alimenta del culto ma si pratica nella quotidianità della vita. |
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io sono la porta |
La porta è luogo di passaggio da una realtà all’altra, un invito a oltrepassarne la soglia e, proprio perché non appartiene né all’una né all’altra realtà – ma si potrebbe dire anche che appartiene ad ambedue – diventa un “non luogo”, un confine che determina la dinamica della vita e della fede. Gesù si definisce “porta”, passaggio attraverso cui si trova la salvezza e il pascolo. Porta aperta, passaggio decisivo per la vita, da percorrere in ambedue le direzioni nella costante ricerca di pascolo e salvezza. Porta che resta aperta perché nessuno si rinchiuda in un recinto, ma abbia piena libertà. Sembra un controsenso l’invito ad entrare e poi uscire: è un semitismo che nell'opposizione tra due termini contrari descrive la totalità di tutti i movimenti; entrare e uscire ha il gusto della libertà di chi depone ogni legame che lo tiene ancorato ad un lato o l’altro della vita. |
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perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza |
Tante, troppe voci ci offrono ogni giorno pezzi di vita. Politici, commercianti, giornalisti, commentatori, ci vendono prospettive di libertà. L’inganno è dietro l’angolo. Gesù si presenta a noi come l'unica porta che non ha trucchi, serrature nascoste, blocchi. Nella dinamica dell’entrare e uscire attraverso quella Porta non solo si sperimenta la libertà ma si concretizza il mistero grande della comunione con Cristo che dà senso alla vita e soddisfa la sete del vivere. Entrando e uscendo l’uomo intuisce che può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere (Benedetto XVI, Spe 30). |